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 Maurizio Mos
 

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L’AUTORE

Maurizio Mos (pseudonimo) nasce a La Spezia nel novembre del 1951.
Ha una figlia, ormai universitaria. Ha lavorato in proprio, per il Comune della Spezia ed è tutt’ora presso l’Asl 5 “Spezzino”.

In passato si è interessato di sport automobilistico (regolarità sprint) ed ha frequentato il tiro a segno (pistola standard). Tra i suoi interessi i viaggi, la fotografia (soprattutto di natura e paesaggi) e gli scacchi, oltre naturalmente alla lettura.

I LIBRI

SEMPLICI OMICIDI

Già edito da Gammarò Editori, è una raccolta di quattro brevi storie poliziesche, semplici, come recita il titolo, quotidiane: qualcuno uccide qualcun’altro (avrà avuto i suoi motivi) e l’anonimo protagonista ed i suoi devono capire chi e perché, destreggiandosi tra Dirigenti presuntuosi e colleghi ruffiani o megalomani, e meno male che il Medico Legale e quelli della Scientifica sono degli amici; brontolando perché non sempre possono tornare in famiglia (chi ce l’ha) quando e quanto vorrebbero, sperando nel contratto nuovo e negli arretrati per quadrare un po’ i conti, tanto gli straordinari quando mai li pagano?

Quattro storie che si succedono nel corso di un anno, da un freddo e nevoso gennaio fino ai primi di dicembre, richiamando talvolta lontani ricordi nel protagonista, ancora legato al suo passato che come tale è ormai perso e quindi rimpianto ma non certo dimenticato.

UNA VITA DI INGANNI

Omicidio conseguente ad un furto, anzi ad una rapina?, sì pare di sì…

E invece no, è un vero omicidio, premeditato e freddamente eseguito, e tra la marea di persone che potevano voler morta la vittima, commercialista non proprio di specchiata onestà (moglie, figliastro, clienti vari), l’anonimo protagonista ed i suoi colleghi dovranno individuare chi gli ha regalato due colpi di pistola. E nel frattempo c’è un altro morto, e vai a capire perché, certo è collegato al primo ma…

Un’indagine che si dipana in una lunga, calda estate, che riporterà il protagonista alle ormai lontane ed egualmente lunghe ed assolate estati della sua infanzia ed ai ricordi di ragazzo e che quando si concluderà lascerà l’amaro in bocca per più di un motivo.

NOTE DELL’AUTORE

A questo punto dovrei cercare di spiegare come e perché sono nati questi libri (e gli altri due che ho in gestazione). Credo per gioco, come capita spesso, o per una specie di scommessa con me stesso.

Sono da sempre appassionato di gialli, ma di quei gialli che considero reali, attendibili, descrittivi di realtà personali ed umane vere: tanto per capirci i “miei” autori sono Raymond Chandler, Ross Mac Donald, Ed McBain, Donald E. Westlake/Richard Stark, Georges Simenon (ma non dimentichiamo J. J. Marric, Bill Pronzini) e i nostri Scerbanenco, Fruttero e Lucentini e Renato Olivieri.

Quanto al piccolo schermo richiamo tre titoli di telefilm americani, Sulle strade della California, Hill street giorno e notte e Law and Order (prime serie) ed uno inglese, The Sweeney; mentre tra i film, il primo che mi viene in mente, è il bellissimo Un maledetto imbroglio del grande Pietro Germi (sì, un film italiano, su un delitto “normale”, banale anzi).

Spiace che tra i telefilm non si possano comprendere le attuali fiction televisive italiane, anche se naturalmente restano intoccabili gli inarrivabili Maigret di Gino Cervi e Nero Wolfe di Tino Buazzelli. Ma erano altri attori, un’altra televisione, altri tempi: persino una ormai dimenticata serie Tv, Qui Squadra Mobile, casereccia e ruspante, al confronto era pregevole.
Ho cercato di scrivere di normali, quotidiani poliziotti, anonimi se vogliamo, proprio come il protagonista, che non svolgono indagini di fantasia alterando con placida indifferenza la scena del crimine (perché solo loro troveranno “il” particolare sfuggito a tutti) né si rivolgono con voce ansimante e carica di pathos alla moglie o fidanzata pregandola di non costringerlo a scegliere tra lei ed il lavoro (come si vede e si sente in più di una recente fiction).

Ma stiamo scherzando?, a parte pochi fanatici il mondo reale è abitato, grazie a Dio, da onesti poliziotti non molto dissimili da qualsiasi altro pubblico funzionario, che svolgono onestamente i loro compiti pensando che se vent’anni prima avessero fatto il concorso per le Poste a quest’ora forse sarebbero Capiufficio e non sarebbero costretti a passare notti fuori casa a caccia di qualche balordo che magari gli regala anche un colpo di pistola e forse guadagnerebbero di più; che certo non si tirano indietro ma anzi insistono testardamente nella ricerca del colpevole perché è il loro lavoro ed in fondo gli piace (ma non sono tra quelli che esultano, in modo infantile ed esagerato, se non improprio, quando conseguono il successo, come vediamo nei telegiornali); che coabitano con Dirigenti intelligenti e capaci o presuntuosi e mentalmente chiusi e con colleghi amici oppure ruffiani o convinti di essere Dio in terra, unica barriera tra gli onesti e incapaci cittadini e la barbarie e vanno in giro con gli occhiali da sole anche quando piove, la testa rasata e la mascella volitiva protesa in avanti a dimostrare il loro decisionismo.

Ecco: forse, se dovessi imparentare i miei poliziotti, dovrei dire che sono cugini sia del Maresciallo di Mario Soldati sia degli agenti della Polizia di New York delle prime serie di Law and Order o di Hill street.
Persone normali, con i loro problemi, il loro passato più o meno felice ed un presente che è quello che è e che può far venire in mente Tenco e la sua Un giorno dopo l’altro, non a caso sigla delle prime serie del Maigret di Cervi.

Detto del carattere dei protagonisti, due parole per il taglio dei racconti.

Ancora una volta devo richiamare i telefilm citati in precedenza: i protagonisti sono i poliziotti (sennò non sarebbe un “poliziesco”) e non c’è spazio per digressioni su altri (cioè la storia è “vista” attraverso di loro) e la narrazione comincia quando qualcuno (sfigato) gira l’angolo o apre la porta sbagliata ed inciampa in un cadavere.

Poi è tutta routine, con le Volanti che arrivano a sirene spiegate; quelli della Mobile che col cavolo che toccano il cadavere prima che sia arrivata la Scientifica; e poi il medico legale; il magistrato che arriva troppo spesso ore dopo e alti funzionari e simili che girellano lì attorno tanto per farsi riprendere dalle telecamere.

E dopo tre o quattro ore comincia il lavoro vero, che spesso comprende dover andare da qualcuno e dirgli buongiorno, sua figlia o che so io è stato ammazzata, può rispondere a qualche domanda?, e guai a lasciarsi coinvolgere troppo; il lavoro che fa incontrare gente disperata o spaventata (in Italia quando la Polizia bussa alla porta innervosisce tutti, a parte chi può telefonare “in alto” e lagnarsi perché un questurino ha osato fargli delle domande); il lavoro che ti mischia a brava gente o delinquenti, a persone simpatiche o altezzose o omissive; il lavoro che alla fine, se lo fai con impegno ed intelligenza, ti fa trovare davanti il colpevole e a volte va bene perché è davvero il cattivo di turno ma altre volte non va bene, perché è un poveraccio che vorresti tanto non aver mai scoperto, che ha ammazzato per rabbia o per disperazione… o, anche, per amore.

Maurizio Mos


 


 

 

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Ultimo aggiornamento: 15-12-10